La questione in commento è di particolare interesse e, in quanto tale, da sempre molto dibattuta soprattutto in considerazione dell’importanza, oggi più che mai, che assume la corretta gestione dei rifiuti urbani che in molte realtà locali rappresenta una criticità che molti amministratori pubblici locali si trovano ad affrontare. La vexato quaestio a lungo dibattuta, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, ha trovato soluzione nella importante pronuncia contenuta nella sentenza n. 1034 del 15 marzo 2016 emessa dalla V Sezione del Consiglio di Stato con la quale veniva confermato il giudicato espresso dal giudice di prime cure (TAR della LombardiaSezione distaccata di Brescia, Sez. II, n.490/2015).
La controversia portata all’attenzione dei giudici amministrativi prendeva avvio dal ricorso presentato da una società operante nel settore della gestione di rifiuti avverso la decisione di un Comune lombardo di gestire il servizio di igiene ambientale optando per la gestione diretta e più precisamente di gestire con propri mezzi e personale il servizio di raccolta porta a porta dei rifiuti differenziati; in sintesi il Comune aveva deciso l’internalizzazione del servizio.
La società, ricorrente in primo grado al Tar avverso tale decisione e, appellante in secondo grado innanzi al Consiglio di Stato avverso la decisione del giudice di primo grado, basava le proprie pretese su due argomenti principali:
1) i servizi di raccolta e smaltimento di cui era causa, in quanto qualificabili come servizi di interesse economico generale, non potevano essere gestiti in economia mediante amministrazione diretta in quanto troverebbe applicazione il principio del divieto di gestione diretta dei servizi pubblici locali da parte dell’Ente locale;
2) il Comune non essendo iscritto all’Albo dei gestori ambientali di cui all’articolo 212 del D.lgs n. 152/2006 e s.m.i.,non poteva svolgere l’attività di raccolta dei rifiuti in quanto attività in via di principio vietata agli Enti locali territoriali laddove agli stessi non è consentito l’iscrizione all’Albo gestori ambientali non essendo fra i destinatari dell’obbligo di iscrizione, “condicio sine qua non” quest’ultima per lo svolgimento delle attività di gestione dei rifiuti.
Entrambi questi assunti non sono stati ritenuti meritevoli di tutela da parte dei giudici amministrativi in quanto, in merito, al primo punto:
1) l’articolo 34, comma 20, del decreto legge n. 179 del 2012 ha stabilito che per i servizi pubblici locali di rilevanza economica è ammessa la gestione con ciascuna delle modalità riconosciute legittime dall’ordinamento europeo e che non sussistono più limiti di sorta all’individuazione da parte degli
Enti locali delle concrete modalità di gestione dei servizi pubblici locali.
Con tale norma, sostengono i giudici, è stato superato il pregresso orientamento, cristallizzato nelle disposizioni normative dei decreti legge n. 112/2008 e n. 138/2011, che limitavano il ricorso a forme di gestione diretta; pertanto, il modello di gestione adottato dal Comune era da ritenersi legittimo.
Lo stesso ordinamento comunitario ritiene che un’autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico su essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti alla propria organizzazione; in altre parole non sussiste l’obbligo di affidare a terzi o esternalizzare la prestazione di servizi che possono essi stessi prestare.
I giudici amministrativi, a consolidamento della propria tesi, richiamano la Direttiva 2014/23/UE in materia di concessioni la quale, in virtù del principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche, riconosce in modo esplicito la possibilità per le amministrazioni di espletare i compiti di interesse pubblico con tre modalità tra loro alternative ovvero poste su di un piano di equiordinazione ovvero:
a) avvalendosi delle proprie risorse;
b) in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici;
c) mediante conferimento/affidamento ad operatori economici esterni.
In definitiva, sul primo argomento del ricorrente, il Consiglio di Stato, condividendo l’operato del Tar, ha rilevato che occorre lasciare ampia scelta agli Enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società in house, essendo venuto meno il principio della eccezionalità di questi modelli gestionali, consolidando così il proprio orientamento già espresso in precedenti pronunce (cfr Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2013, n.762).
Anche in merito al secondo punto la posizione dei giudici amministrativi è chiara:
1) anche il secondo argomento sostenuto dalla società ricorrente non è stato ritenuto meritevole di tutela da parte dei giudici amministrativi, sia di primo che di secondo grado, in quanto, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, nell’ambito dell’applicabilità dell’articolo 212 del D.lgs 152/06 non è individuabile alcuna prescrizione che impedisca ai Comuni di esercitare l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti; in altre parole il non aver incluso gli enti locali territoriali nel regime abilitativo, seppur semplificato, non sta a significare che ad essi sia precluso l’esercizio di tali attività, bensì, al contrario, che tali Enti possono operare anche in assenza di iscrizione all’Albo.
Il Consiglio di Stato richiama, a consolidamento della propria posizione, il parere espresso dall’Associazione Nazionale dei
Comuni Italiani la quale aveva rappresentato che l’iscrizione all’Albo ex art. 212 del D.lgs 152/06 è riservata alle sole imprese e che tale iscrizione non è in alcun modo prevista per gli enti pubblici a carattere territoriale e che proprio la non necessità/impossibilità di tale iscrizione non significa in radice precludere ai Comuni l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti ma che, al contrario, essi possono svolgere tale attività secondo il modello dell’internalizzazione.
Lo stesso Albo nazionale gestori ambientali si era già pronunciato in merito alla gestione dei centri di raccolta da parte di Comuni con la Circolare n. 1656 del 28 ottobre 2008 con la quale, in armonia con le disposizioni di cui all’articolo 212 del D.lgs 152/06 e con quelle del D.M. 406/98 (Regolamento dell’Albo oggi abrogato e sostituito dal D.M. 120/2014), dispone che i Comuni non sono ricompresi tra i soggetti destinatari dell’obbligo d’iscrizione per l’attività di gestione dei centri di raccolta.
Al contrario si coglie l’occasione di chiarire, per completezza di informazione, che nel caso di attività di trasporto dei rifiuti prodotti da attività di manutenzione svolte in economia, i Comuni posso chiedere e ottenere l’iscrizione nella categoria 2-bis, ex articolo 8, comma 1, lettera b), del D.M. 120/2014, per la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi e pericolosi; a tal fine il Comune specificherà l’attività per la quale intende richiedere l’iscrizione in categoria 2-bis alla Sezione regionale dell’Albo, quale procedura semplificata al pari delle imprese private.
Con una recentissima Circolare il Comitato nazionale dell’Albo è stato chiamato a pronunciarsi di nuovo su questa dibattuta questione per fornire chiarimenti riguardanti la necessità dell’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali per le comunità montane e le unioni dei comuni che intendono svolgere in economia i servizi di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani prodotti all’interno del proprio territorio.
L’organo centrale dell’Albo citando sia la propria precedente pronuncia (cfr circolare n. 1656 del 28 ottobre 2008) che la sentenza n. 1034/2016 del Consiglio di Stato, ha chiarito che il regime di esenzione previsto per i Comuni nelle decisioni di cui sopra, va esteso anche alle comunità montane e alle unioni di comuni in quanti enti locali finalizzati all’esercizio associato di funzioni e servizi, così come disciplinati al Titolo II del D.lgs 267/2000, nella misura in cui a tali enti siano attribuite le medesime funzioni dei comuni in materia di gestione dei rifiuti urbani; viene così consolidato l’orientamento che aveva trovato riscontro anche nelle pronunce giurisprudenziali oggetto di questo contributo.


A cura del Dr. Leonardo Di Cunzolo
Esperto Ambientale
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